Anche la carta di giornale non è più come una volta!
Si prova ad accendere la capannetta di legnetti ma, nulla! Tutto fa disperare, tutto fa abbandonare le redini trattenute sino ad oggi.
Un impeto furioso fa voltare e lo scontro con l’Albero di Natale in mezzo al salone è inevitabile!
Anche l’Albero si allea con il resto del mondo per creare scompiglio?!
Il chiavistello gira ed un’ondata di neve e fango si spande insieme agli schiamazzi in tutto il pian terreno.
Il terremoto umano prende vita ed implode, abbandona la prua, toglie alle fondamenta l’anima, solleva e sradica qualsiasi elemento che incontra.
Tutte le storie di vischio, di abete, di San Nicola vengono distrutte dall’unico fiammifero rimasto.
Nessuna decorazione si salva. Lustrini, nastri, ghirlande, cristalli e vetri sono talmente malconci da essere ridotti a pepite impossibili da prezzare! Nemmeno con la più potente creatività ed il collante più resistente è possibile salvare la leggenda del Natale od anche solo la dimora.
Di quelle macerie e dell’incendio della Follia – così fu chiamato dai locandieri e dai popolani – rimase un arazzo.
L’Osteria di Brandeburgo (e nessuno sa spiegarsi il perché di questo nome) lo mostrava fiero appena sopra il bancone. A tesserlo furono una coppia di anziani. L’arazzo rappresentava il cumulo dei resti, una figura umana che scappava nella foresta, un tizzone ardente ai piedi di quelle rovine, una casa spezzata non dalle fiamme ma dall’ira incontrollata di un cuore dis-adeguato.
Eppure quell’arazzo nascondeva un pezzo di storia. Passarono Primavere e Inverni. Nella locanda, una sera, arrivò una voce. Guardò l’Arazzo e si levò, cristallina come la Grande Congiunzione.
Venne la neve.
Ne venne tanta.
Si tramutò in ghiaccio.
Venne la pioggia.
Sciolse quelle lastre dai singolari contorni … dentro di loro recavano pezzetti di aghi di pino, fili argentei, minuscoli vetrini.Venne la neve.
Ne venne tanta.
Ancora tutto si tramutò in lastra e poi tutto si sciolse.Così accadde una terza volta.
L’Inverno finì.
Una coppia di anziani raccolse i pezzi di addobbi, gli aghi di pino, i rami e ciocchi di tronchi.
Oh, ad avere tempo si sarebbe potuto!
Si sarebbe potuto aggiustare quel Natale mancato e perduto.
Loro, quegli anziani stanchi nel corpo, misero tutto in una scatola. Non avevano più tempo se non quello di confidare il luogo ove riposava un perduto tesoro. Non avevano più tempo se non quello di riportare tutto su di un arazzo.
Una fanciulla ed un fanciullo, sconosciuti ed improbabili, incapaci di accontentarsi dei beni del duro lavoro, di ciò che il danaro poteva promettere, di un buon boccale di birra presso la locanda, si imbatterono nell’arazzo, scontrandosi in un pomeriggio nevoso del Generale Inverno.
Una torcia accesa accanto ad una catasta. Qualcuno che fugge.
Tempo di salvare ben più di una leggenda.
Guidati dall’Arazzo trovarono nella cantina della locanda la scatola intagliata e impolverata.
Lavorarono duramente: era una notte di Fine Dicembre.
Venne la neve in quelle ore.
L’alba clemente regalò un fascio di luce.
Il locandiere e qualche manciata di uomini e discoli già si levavano, aprendo porte ed infissi per decifrare il tempo ma!
In mezzo alla piazza, laddove c’era uno spiazzo di terra brulla svettava solenne un Albero di … Natale.
Timidi dapprima e poi squillanti, si levano gli auguri, le antiche e mai dimenticate – ma solo assopite- tradizioni.
Il fanciullo e la fanciulla sonnecchiavano nei loro letti, sotto le unghie delle mani la terra e qualche graffio necessario per salvare quella figura che fugge ed ora può ritrovare luce.
Necessario per salvare il Natale.
Ecco come è nato l’Albero di Natale, al quale si inneggia, si cantano le Odi e si posano i doni.
erica g.